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Già prima che la corsa-al-voto terminasse (il 25.Settembre dell’anno corrente), uno dei temi più caldi fu quello di come affrontare lo ‘spettro’ del ‘ritorno alla Legge Fornero’. Come si ricorderà, negli ultimi anni si è tentato di ricorrere a strumenti che modificassero – almeno temporaneamente dato che i precedenti meccanismi tramonteranno a tutto il 31.Dicembre.2022 - gli effetti della Legge prima citata utilizzando il c.d. sistema Quote
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La “Quota 100” che permetteva ai lavoratori dipendenti ed autonomi di cessare il proprio rapporto di lavoro e richiedere il trattamento pensionistico in quanto avevano maturato i requisiti richiesti nel periodo compreso fra il 1° Gennaio 2019 ed il 31.Dicembre.2021 (*):
Vale la pena ricordare, comunque, che gli esiti di questa ‘riforma’ sono stati deludenti perché il numero di coloro che vi hanno aderito, o meglio, il numero di domande accolte dall’INPS in quanto rispondenti ai requisiti richiesti è stato ben al di sotto di quella prevista (come certificato dai numeri forniti anche dall’INPS).(*) trattandosi di un istituto ormai decaduto, i dattegli più analitici sono stati volutamente tralasciati.
La “Quota 102” che, superato il periodo di cui alla formula precedente, si è riconosciuto ai lavoratori dipendenti ed autonomi il diritto a presentare richiesta per una pensione anticipata con un termine di applicabilità fissato al 31.Dicembre.2022: ·
La Legge nr.234/2021 e successivamente la Circolare dell’INPS nr.38 dell’8.Marzo.2022 specificava innanzitutto che esisteva una disciplina diversificata fra lavoratori appartenenti al settore pubblico e privato, ovvero:
L’ Opzione Donna che interessa – ovviamente – solo le lavoratrici dipendenti o autonome che facciano domanda per ottenere un trattamento pensionistico, calcolato con il c.d. sistema contributivo, avendo maturato i requisti previsti dalla legge entro il 31.Dicembre.2021, ovvero:
Il diritto al trattamento pensionistico viene ilquidato in modo diversiticato:
Non riportiamo – per brevità – il noto istituto dell’Ape sociale (Anticipo Pensionistico destinato a soggetti che abbiamo raggiunto l’età di 63 anni e si trovano in particolari condizioni di necessità; ad esempio aver svolto lavori particolarmente usuranti) introdotta nel 2017 e prorogata fino al 31.Dicembre.2022 ed è atteso che il Governo la estenda anche per l’anno 2023 allargando le categorie di lavoratori interessati.
Poiché le due misure (Quota 100 ed il suo prolungamento, Quota 102) hanno validità fino al 31.Dicembre.2022, è più che evidente che – ad oggi – sembra non esserci più tempo per varare (usando le parole di Mario Draghi) “una riforma delle pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita ed un impianto sostenibile ancorato il sistema contributivo”.
Pur convenendo sulla concreta necessità di variare adeguatamente il sistema pensionistico, è ragionevole pensare che alcune delle proposte avanzate in questi ultimi mesi possano trovare uno sviluppo tale da costituire una concreta proposta da illustrare sia alle forze imprenditoriali che sociali . Se così non fosse, l’alternativa sarebbe o di ritornare a quanto previsto dalla Legge Fornero (67 anni di età o in caso di anticipo una riduzione dell’assegno mensile; 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne) oppure semplicemente di prorogare Quota 102, dell’Opzione Donna ed APE Sociale.
In questo complicato scenario si fa avanti l’IPOTESI di una c.d. “Quota 41” che prevede una uscita anticipata dal mondo del lavoro per coloro che nel 2023 abbiano un’età anagrafica di 61 o 62 anni e maturato una congrua anzianità contributiva. L’IPOTESI anzidetta – potrebbe configurarsi come una “Quota 103”ribattezzabile addirittura come “Opzione Uomo”(che riconfermerebbe comunque il divieto di cumulo di reddito da lavoro consentendo) ma soprattutto, come detto, di evitare sull’immediato gli effetti dello “scalone” previsto dalla Legge Fornero del 2012. E’ un ribollire di idee che potrebbero anche portare ad un’altra IPOTESI che prevederebbe un’età anagrafica di 62 o 63 anni, basandosi pur sempre su un congruo periodo contributivo. Queste IPOTESI avanzate dai vari componenti dell’attuale Governo si intrecciano e completano i vari modelli proposti con delle possibili ‘appendici’. Ad esempio: chi dovesse scegliere di continuare a lavorare, nonostante le opportunità proposte, potrebbe godere di un incentivo in busta paga (del 10%, circa). L’interazione fra i contributi versati dal lavoratore e quelli versati dall’impresa avrebbe due effetti: il primo sarebbe un vantaggio sulla busta paga del lavoratore; il secondo, le imprese potrebbero usufruire per un tempo ragionevolmente più lungo delle competenze e le capacità dei propri dipendenti di più lunga anzianità.
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Per contro, si potrebbe ipotizzare l’uscita dal mondo del lavoro a 62 anni di anzianità anagrafica e 35 anni di anzianità contributiva, ma con una penalità (dell’8%, circa) per la parte retributiva fino ai 66 anni. Infine, si sta valutando anche la c.d. “Ipotesi Tridico” (Presidente dell’INPS) che è articolata in due tronconi. In questo caso il lavoratore uscirebbe dal mondo del lavoro all’età di 63-64 anni ma con almeno 20 anni di anzianità contributiva. La pensione sarebbe calcolata basandosi sul sistema contributivo per la prima fase, per poi attendersi la seconda al compimento dei 67 anni di età basata sul sistema retributivo .
Nonostante si siano raccolte fino ad oggi molte IPOTESI, dobbiamo attendere la formulazione della Legge di Bilancio 2023 per poter intravedere in modo più chiaro quali saranno gli orientamenti del Governo non dimenticandoci che le autorità di Bruxelles stanno già da tempo vigilando sulle scelte dei Governi che si sono succeduti negli anni (dal 2012 ad oggi) preoccupati sempre che il contenuto economico delle scelte già fatte e di quelle legate alle ‘nuove idee’ sia compatibile con i conti pubblici
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